Ungaretti poeta e soldato

Il Carso e l’anima del mondo. Poesia pittura storia

Gorizia e Monfalcone
26 Ottobre 2024 - 4 Maggio 2025

un progetto di
Marco Goldin

Gorizia, Museo di Santa Chiara

Monfalcone, Galleria comunale d’arte contemporanea

26 ottobre 2024 - 4 maggio 2025

La poesia (di Ungaretti)

Marco Goldin

Balaustrata di brezza
per appoggiare la mia malinconia
stasera

Giuseppe Ungaretti, Finestra a mare da Il porto sepolto, 1916


Ho sempre amato la poesia. L’ho pensata fin da ragazzo quasi come la sola forma di comunicazione. Ancor prima della pittura ha avvolto la mia vita, ne ha scandito tanti dei suoi momenti.

Poi un giorno è successa una cosa. Sono entrato in un’aula universitaria a Ca’ Foscari, a Venezia. Mi preparavo a frequentare il primo corso monografico dopo gli anni del liceo. Letteratura italiana contemporanea. Era l’inizio di un nuovo viaggio, che a ben vedere, tanto tempo dopo, capisco quanto mi abbia condotto su strade preziose e fino ad allora non immaginabili.

Il professore è entrato nell’aula denominata Atti accademici, affacciata sul Canal Grande, in una bellissima giornata tersa del principio di novembre. Dal mio posto si vedevano le barche che andavano sull’acqua, si sentiva di tanto in tanto un grido come a richiamare l’attenzione di qualcuno. Ero intimorito. La mia prima lezione universitaria stava per cominciare. Non conoscevo chi mi stava attorno.

Il professore è entrato in quella grande aula e si è sfilato il cappello, appoggiandolo sul tavolo. Si poteva ancora chiamarla cattedra, come al liceo? Forse no, mi son detto. Scrutavo i baffi bianchi di quel signore un po’ austero e un po’ bonario, era la mia prima impressione di lui. I baffi bianchi però striati di quel giallo che fa la nicotina quando fumi.

Il professore ha estratto dalla sua borsa posata a terra un libro. Lo ha messo sul tavolo, con un atteggiamento insieme preciso e solenne. Si è seduto, ha alzato un momento il suo sguardo verso di noi – l’aula era quasi piena. C’era un grande silenzio. Poi ha abbassato gli occhi e ha guardato la copertina di quel libro, infine l’ha aperto. Avrei detto su una pagina a caso, come per guadagnare ancora qualche secondo. Poi lo ha richiuso e allora ho pensato: ecco, è arrivato il momento di cominciare.

Il professore si è alzato in piedi, uscendo dallo spazio tra la sedia e il tavolo, come a porsi in un più diretto contatto con gli studenti. Era sollevato rispetto a noi, poiché come sempre accade quella posizione era il punto di una certa distanza. Si è schiarito la voce, ha guardato lontano verso un luogo che non capivo quale fosse e infine per la prima volta ho sentito la sua voce: “Il corso di quest’anno sarà sulla poesia di Ungaretti, naturalmente cominceremo con Il porto sepolto”.

Il porto sepolto nella prima edizione del 1916

Era quindi forse segnato nel mio libro delle ore che più di quarant’anni dopo io tornassi a Ungaretti e alla sua limpida, denudata e arroventata poesia. Ci tornassi con questo progetto, fatto di due mostre e uno spettacolo teatrale. Ci tornassi tenendo tra le mani come un talismano il libro con Il porto sepolto e L’allegria, quel libro tutto annotato a matita che si è un poco sbiadita in tanti anni passati.

Su quel libro ci ho fatto l’esame alla fine del corso e poi l’ho sempre tenuto caro, vicino. Nel passaggio da una casa all’altra non volevo che mancasse mai quel riferimento e qualche volta lo prendevo dalla biblioteca e cominciavo a leggere, ad alta voce. Cosa che mi piace fare ancora oggi, scrivere e poi leggere ad alta voce. Anzi, spesso anche dettarmi quello che vado scrivendo. Come una cosa naturale, semplice.

Quando, per il programma di Gorizia 2025 – con Nova Gorica congiuntamente capitale europea della cultura – ho per la prima volta proposto a Enzo Cainero questo progetto ungarettiano, tutto dentro di me veniva alla luce da quel lontano ricordo, ancora così vivo. Era come se un appuntamento a lungo rimandato si fosse d’improvviso rivelato possibile. Che gioia, poter lavorare a lungo su questo poeta. Indagando, approfondendo, camminando sui sentieri che lui stesso aveva calpestato, magari mentre guardava le stelle la notte. Mentre attraverso il filo spinato si vedeva il lago di luce lunare sul mare.

Da quella prima, quasi timida idea di mostra su Ungaretti, nata proprio avendo accanto Il porto sepolto, molte cose sono cambiate. La prima, la più importante, è che Enzo non c’è più, se n’è andato mentre il progetto cominciava a prendere più consistenza, ad assumere una connotazione più chiara in me. Per questo la dedica a lui di Ungaretti poeta e soldato. Il Carso e l’anima del mondo nasce dal cuore.

Aveva accolto con felicità il fatto che avessi deciso di far lavorare alcuni pittori italiani contemporanei nei luoghi del poeta sul Carso, a riprodurre con il linguaggio di oggi, così diverso in ognuno di loro, il paesaggio tanto cambiato dalla Prima guerra mondiale. Anzi, conoscendo le sue suggestive preferenze pittoriche gli sottoponevo alcuni nomi affinché si arrivasse a una scelta conclusiva. E così è avvenuto.

Alessandro Papetti, Giuseppe Ungaretti, 2023

Alla fine il progetto si è composto non di una soltanto, ma di due esposizioni e uno spettacolo teatrale. Per un senso di coralità. La mostra di Gorizia è un racconto delle vicende di Ungaretti sul Carso. Un racconto dai molti linguaggi, tra poesia, storia, morfologia e pittura. Con un uso ampio di elementi visivi, tra documentari e altri approfondimenti appositamente creati.

La mostra di Monfalcone vuole dire con alcune decine di opere cosa accadeva in quello stesso decennio nelle Venezie, con le presenze degli artisti soprattutto legati al movimento di Ca’ Pesaro, ma non solo se pensiamo a Trieste. I nomi che vanno da Boccioni ad Arturo Martini, da Gino Rossi a Casorati fanno capire quanto l’avanguardia italiana fosse di casa attorno al Carso in guerra.

E poi lo spettacolo teatrale, che anticiperà le mostre. Per dare subito il senso del progetto e anche l’idea da cui è nato il titolo, Ungaretti poeta e soldato. In una lettera a Papini, al tempo delle battaglie attorno al monte San Michele, Ungaretti si definisce “soldato ma poeta”. Nel mio titolo ho scelto di invertire i due termini e far precedere il soldato dal poeta, poiché qui ogni cosa nasce dalla poesia, da quella poesia nuovissima, ripulita di tutto e vestita solo dell’essenziale, contenuta in Il porto sepolto. La poesia in funzione taumaturgica, balsamo, ultima sillaba appesa al cielo, estremo silenzio lanciato dentro l’immenso. Preghiera, grido strozzato. Incanto.

E poi la sostituzione della congiunzione avversativa con una aggiuntiva, per avere noi oggi addosso come un mantello quel doppio ruolo ungarettiano tra le trincee della prima linea e la retrovia. Quel suo combattere e insieme scrivere, quel suo avanzare e ugualmente retrocedere. Quel suo essere insieme nella vita e nella morte. Condizione di fragilità e forza, condizione umana che sprigiona fuochi accesi nel buio della notte. Condizione di semplicità assoluta.