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26 giugno 2018

Diario di Bretagna di Marco Goldin / 2

Il Calvario di Nizon oggi e dipinto da Gauguin nel 1889 (Paul Gauguin, Il Cristo verde o Il calvario bretone, 1889 / Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique).

Nella bellezza e nel tempo, nell'incanto del destino. Si prosegue così, seguendo i passi di Gauguin in Bretagna. Seguendo le sue tracce, sparse ovunque, come queste ortensie che si spalancano verso il cielo. Anche oggi azzurro, anche oggi teso tanto lontano da non poterlo infine seguire. Eppure ti fa da tetto, eppure getta su di te un mantello per proteggerti e prendersi cura. Sentire qui, a Finisterre, che anche nell'immenso dello spazio c'è qualcosa che non si disperde, qualcosa che ritorna. E sono occhi che lacrimano, sono parole d'amore, sono profumi a sera. Sono luci adagiate e rovesciate nel cielo, rosse e arancioni, prima che venga notte, prima che sorga la luna. E la luna è la luna, in Bretagna e nel mondo. Ovunque tu sia, la vedi. Ovunque tu sia, la riconosci. Quando ti trovi magari sotto la luna.
Dal centro di Pont-Aven si prende la rue Emile Bernard, a salire, in direzione di Concarneau e Nevez. Ma fatte poche centinaia di metri, sulla destra si stacca un sentiero che costeggia l'Aven, tra fioriture e mulini. Si sale tra picchi di case bianchissime, i tetti scuri spioventi, che una volta erano ricoperti di paglia. Fino a che il sentiero si mostra nella sua intimità, nel suo affiancarsi all'anima. A sinistra il bosco che sale, in un declivio ripido, e a destra il fiume che corre veloce nella sua acqua chiara. È il Bois d'Amour, che Gauguin scoprì subito quando venne qui per la prima volta, nell'estate del 1886. Furono immediatamente quadri bellissimi, in questo luogo carico di simboli e di significati. Certi quadri nei quali mostrava di staccarsi da quanto gli avevano trasmesso gli impressionisti. Si cammina in silenzio nel silenzio, e solo il fruscio dell'acqua che passa e va. Tu puoi ricordare allora quando nel 1888, quasi sotto dettatura di Gauguin, Paul Serusier realizzò, proprio in questo bosco che sto adesso percorrendo, quella piccola tavoletta che va sotto il nome di "Le Talisman". Quella che diede il nome all'arte nuova. Gauguin invitava Serusier a non aver paura nell'osare con il colore: "Vedi verde quell'albero? Allora non avere paura e scegli dalla tua tavolozza il verde più bello che hai.  E quell'ombra la vedi piuttosto blu? Non crucciarti e dipingila più blu che puoi". È pensando a questo, a quando Gauguin era qui, accanto agli amici pittori della Scuola di Pont-Aven, che conduco i miei passi fino al Moulin Neuf, attraverso il ponte e ricordo uno dei primissimi quadri che realizzò nel 1886, con alcuni ragazzi del villaggio che facevano il bagno in queste acque.
Ma a un certo punto il sentiero svolta verso sinistra e sale, ritornando indietro nel bosco a una maggiore altezza. Si cammina sotto grandi querce, la luce del sole che filtra e macchia il terreno morbido. Poi d'improvviso l'apparizione. Cintato da un muretto basso di pietra, agganciato al mondo da un giro di alberi alti e nuvole bianche, un grande campo di grano. E tu pensi allora a un anno fa, quando eri proprio in questi giorni a Auvers, immerso nel giallo dei campi di grano di Van Gogh, in quel suo giallo alla fine della vita. E invece sei qui, in Bretagna, a pochi passi dal mare, in mezzo alla campagna che vede solo se stessa e il cielo. Ancora una volta, il giallo e l'azzurro. Ancora una volta il destino. Non riesco a non camminare in mezzo al grano, passando dall'ombra al sole, passando dal bosco alla radura. Il senso della luce, il senso della vastità. E la possibilità di rientrare nel bosco, la possibilità di tornare verso casa. Spingersi al di là e ugualmente sapere di essere protetti.
Poi il sentiero poco per volta si apre, campi di granoturco e il verde si sostituisce al giallo. Poi il sentiero incrocia una piccola strada asfaltata, si sale verso destra, staccionate e ortensie ovunque. In cima alla salita si gira a sinistra e in fondo, nella sua pietra chiara, appare la piccola cappella di Trémalo. Siamo sulla collina Sainte Marguerite, quella che Gauguin guardava dal suo atelier di Lezaven, di cui vi ho parlato ieri, nella prima puntata di questo diario. L'arrivare a Trémalo, un altro appuntamento atteso. All'interno, nell'oscurità fonda per chi proviene dal sole assoluto della campagna, vado a cercare, in alto lungo la piccola navata di sinistra di questa cappella cinquecentesca, qualcosa che aspetto. Il Crocifisso, del XVII secolo, da cui Gauguin trasse ispirazione per il suo famoso "Cristo giallo". Un Cristo appeso al muro, sopra l'arco di pietra, sotto la volta in legno di questa esile chiesa di campagna in Bretagna. Un Cristo di una dolcezza che abbaglia, che ti prende per mano da quel suo volo nell'aria dell'universo. Come fai a non pensare a Gauguin che lascia Pont-Aven, percorre il sentiero nel bosco e arriva qui, in questa cappella di pietra bianca e grigia, guarda verso l'alto e immagina ciò che farà? Come fai a non pensarci? Come fai a non sentire il cuore che batte più forte?
Poi si scende, "Il Cristo giallo" nella testa, e si prende un altro sentiero. Penso a quello che Gauguin aveva scritto all'amico Schuffenecker: "Amo la Bretagna. Qui trovo il selvaggio e il primitivo. Quando i miei zoccoli sbattono sul granito, sento il forte suono sordo che evoco nella mia pittura". Far vivere i contrasti in una sola immagine, nella difficile armonia delle forme e del colore. Adesso lascio un altro piccolo bosco che corre in basso lungo una strada di provincia, quasi deserta. Una macchina ogni tanto, niente di più. Solo il vento e il silenzio. L'estate di un'altra, azzurra giornata. Ma so che sto per passare da un Cristo giallo a un Cristo verde. A non più di tre chilometri di distanza. Ecco, arriva il cartello stradale della minuscola frazione di Nizon. Nel pomeriggio estivo, una dietro l'altra, due scuole per l'infanzia, scuola materna e scuola elementare. La prima pubblica e la seconda cattolica. Tutte e due nel vociare dei bambini.
Poi la piccola piazza, della pietra grigia e dei muri bianchi. Mi giro verso sinistra e sul muro di una casa leggo l'indicazione: Place du Calvaire. Al centro, nel suo splendore c'è qualcosa di vecchio e abbandonato, piccole margherite bianche crescono negli interstizi dei gradini del Calvario di Nizon. Da quanto tempo desideravo stare in silenzio davanti a questa pietra consumata dal tempo, nel vuoto del pomeriggio estivo in Bretagna. Nessuno viene fin quassù, nessuno passa, solo un impiegato della Posta che scende dal suo furgoncino giallo e svuota la cassetta delle lettere. Ma non c'è niente. Nessuno viene, nessuno passa. Ci venne un giorno Gauguin, salendo da Pont-Aven. Disegnò, colorò. Si sedette in faccia alle donne che in quel Calvario di paese sorreggevano, disteso, il corpo del Cristo morto. Maria la madre di Gesù, Maria Maddalena e Maria Salomè. Posò questi fogli nel suo atelier, era già venuto il trasferimento a Le-Pouldu. Li posò, e dopo qualche tempo dipinse "Il Cristo verde", uno dei quadri più strabilianti e visionari di tutta la sua vita. Non era più la minuscola piazza di Nizon, bianca e grigia, il fondo del Calvario. No, era invece lo strapiombare verde delle scogliere a picco sul mare a Le-Pouldu. Era il dolore, era l'esecuzione del dolore. Era la redenzione, era l'infinito. Era tutto questo in una sola preghiera. Colorata, coloratissima. Come un unico grano nella corona del Rosario. A domani, da Le-Pouldu.